Fare conversazione…. a Carnevale!

Si chiamano “chiacchiere” o “bugie” ma non si raccontano, e soprattutto non si scambiano ma si condividono! Il dolce carnevalesco più diffuso d’Italia risponde a molti appellativi, ma non ha nulla a che fare con la conversazione.

Il dolce più “leggero” del Carnevale

Il dolce carnevalesco più diffuso in Italia sono indubbiamente le chiacchiere: strisce di pasta tagliata e fritta. La ricetta assume un nome diverso a seconda della Regione, ma il risultato è sempre lo stesso: dei nastri dorati e croccanti, profumati e cosparsi di zucchero, dal gusto leggero e delicato, che piace praticamente a tutti. Insomma un dolce-non dolce che appaga il palato in modo sorprendente e in più rimanda inevitabilmente all’allegria della festa più colorata dell’anno… Anche perché, con la sua incredibile leggerezza (data solo da una stesura sottile della pasta e da una frittura ottimale), fa subito venire in mente stelle filanti e coriandoli.

Un simbolo che proviene dal mondo antico

Le chiacchiere sono antiche almeno quanto il Carnevale, una festa pagana già osservata dai nostri antenati Greci e Romani. I primi celebravano i riti dionisiaci, in cui gli scherzi avevano lo scopo di rendere l’atmosfera ancora più giocosa ed esilarante. Il tutto ovviamente, insieme al vino e al cibo, presenze immancabili di qualsiasi festa, ma che in questa occasione diventano veri e propri protagonisti e vengono declinati anch’essi in versione ricca, godereccia e… talvolta persino esagerata!

Nell’antica Roma, invece, proprio in questo periodo dell’anno si svolgevano i Saturnali, un’occasione per divertirsi, fare baldoria, sovvertire le regole sociali e cedere a ogni tipo di concessione e dissolutezza, ovviamente anche a tavola e proprio i cosiddetti “frictilia”, ovvero i cibi fritti occupavano un posto d’onore nel menù.

A ogni Regione le sue

Oggi il nome delle chiacchiere cambia da Regione a Regione: se in Sicilia, Piemonte, Lombardia e Campania vengono chiamate semplicemente “chiacchiere”; in Liguria diventano “bugie”; in Toscana sono dette “cenci”; “fiocchetti” in Romagna e “frappe” nel Lazio. Inoltre, a seconda del luogo di produzione, vengono aromatizzate con Marsala, acquavite, acqua di fiori d’arancio e ricoperte di zucchero a velo, di miele, di cioccolato e, persino, mascarpone zuccherato.

Attenzione al falso mito di quelle “al forno”

Fritte o al forno? Nelle vetrine delle pasticcerie di tutto il Bel Paese fanno spesso bella mostra entrambe le versioni, distinguibili per lo spessore, la forma e la consistenza. Ma è inutile illudersi di poter optare per una variante più dietetica scegliendo le seconde: infatti, sebbene in pochi lo sappiano, anche le seconde sono sottoposte a un processo di pre-frittura prima di essere ripassate al forno. Il miglior modo per renderle il più possibile “light” è friggerle nell’olio ben caldo (massimo 170 o 175 gradi), inserendole nella pentola poche alla volta per non abbassare la temperatura e scolarle su un vassoio rivestito di carta assorbente da cucina senza sovrapporle l’una all’altra, affinché l’unto in eccesso venga eliminato.

A mano o con l’aiuto della tecnologia

Come qualsiasi altra preparazione in cucina, a casa come in un contesto professionale, ormai è possibile scegliere tra lavorazione tradizionale e artigianale, piuttosto che per una più moderna e hi-tech: nel primo caso resteranno in uso ciotole, cucchiai di legno, mattarelli, e così via. Nel secondo caso faranno il loro ingresso tra l’assortimento degli elettrodomestici anche impastatrici e planetarie, sfogliatrici, mixer, robot, roner e macchine per il sottovuoto. Ovviamente anche per le chiacchiere il discorso non fa eccezione e resta valido il principio per cui, per una produzione modesta e casalinga si può ancora scegliere di “mettere le mani in pasta”, di utilizzare “olio di gomito” (insieme a quello di semi da mettere nella pentola!) mentre per prepararle in grandi quantità è sicuramente più comodo affidarsi alla tecnologia.

 

 

Di Patrick